Conferenza Programmatica : costruire un racconto compiuto
Questa Conferenza Programmatica è un momento importantissimo per il nostro partito. Il PD trova le sue maggiori difficoltà quando non riesce a dare una prospettiva chiara sui temi, sulle idee. La giornata di oggi e quello che significa, ossia un lavoro di mesi sui temi, serve a dare al PD senese la propria dimensione. C’è stato infatti un lavoro lungo e serio sulle tematiche con un confronto attento ai territori.
Un Partito come il nostro non deve essere capace solo di ascoltare o di interpretare i sondaggi, un Partito come il nostro ha bisogno di proporre alternative concrete e coraggiose ai cittadini. E quindi sottoporsi al loro giudizio. Noi non dobbiamo avere paura di confrontarci anche seriamente e duramente sui temi. Dividersi si, ma sulle questioni e non secondo logiche vecchie o nazionali.
Il PD a Siena ha la statura e soprattutto gli uomini e le donne per rappresentare una vera e concreta alternativa culturale. Un’alternativa che non significa solo buon Governo, ma anche una capacità di incidere con scelte lungimiranti sul tessuto sociale. Nelle idee di questa conferenza e del candidato Bezzini c’è questa carica. A cosa serve un Partito se vive solo di consenso contingente? Un Partito serve quando crea una prospettiva seria, di lungo respiro e che sa anche far sognare. Soprattutto in un periodo di crisi come l’attuale.
Partiamo quindi da qui per dare un’identità definita al PD senese e per creare un programma condiviso e maggioritario per le prossime amministrative.
Abbiamo bisogno di dare risposte a una crisi che tocca tutti trasversalmente e in modo totalmente nuovo. In particolare, le giovani generazioni si ritrovano prostrate dalla crisi. Una crisi che mangia il lavoro, il potere d’acquisto, persino, con la determinante complicità di un Governo irresponsabile, il sacrosanto diritto ad un’istruzione pubblica di qualità. Solo un solido patto intergenerazionale e politiche coraggiose possono invertire la tendenza.
La crisi sta colpendo duramente il lavoro dipendente precario. Chi si affaccia al mondo del lavoro in questi anni duemila sa che ad aspettarlo ci sarà una costellazione di contratti con sigle singolari che in sostanza significa: precarietà. Una precarietà che, finché il lavoro c’è, rappresenta un’ingiustizia e un problema, ma che, quando il lavoro viene a mancare, significa disoccupazione. E la precarietà usa e getta così concepita significa precarietà di vita: impossibilità di accesso alla casa, impossibilità di costruire una famiglia… In una parola, uno schiacciamento del futuro su un eterno presente.
La destra propone una soluzione che sottovalutiamo e che invece è fortemente coerente e affonda le proprie radici in un retroterra culturale solido. Ci dice: “vivi questo eterno presente e aspetta l’occasione giusta; basta essere normali ed avere la propria occasione” e così via con reality, lotterie e consumi. Noi abbiamo il dovere morale, oltreché politico, di raccontare una storia diversa. Abbiamo il dovere morale di non appiattirci sull’agenda della destra. Abbiamo il dovere morale di costruire un racconto compiuto di una società diversa per i ragazzi e le ragazze del nostro Paese e del nostro territorio. Questa conferenza programmatica serve anche a questo.
Il nostro messaggio deve essere di fiducia. Dobbiamo parlare di fiducia nella società. Dobbiamo dire che il lavoro è un diritto, non solo un dovere. Che il lavoro non significa mezzo per il sostentamento, ma il lavoro è la massima espressione delle proprie capacità al servizio di sé stessi e della società. Dobbiamo avere il coraggio di dare valore al sacrificio dello studio e della formazione perché sappiamo proporre un sistema in cui i meriti vengono valorizzati e non mortificati. Avere il coraggio, ad esempio, di dire ad un ragazzo che viene dal sud Italia e passa sei o sette anni a studiare Medicina a Siena che, quando affronterà un concorso, conterà solo il merito. E non si vedrà passare avanti il figlio di un docente con le risposte al test in tasca. Solo così possiamo vincere veramente. Vincere nella società e non nonostante questa.
Le giovani generazioni in Italia sono poche numericamente e hanno visto un crollo delle loro prerogative all’interno della società in quasi tutti i settori. Dobbiamo invertire la tendenza. L’età media in Parlamento è cresciuta, nella storia della Repubblica, da 46 anni di media ai 52. E questa è solo la punta dell’iceberg, perché la Politica è lo specchio della società. In Italia si diventa avvocati a 30 anni, in Spagna a 26. Nell’imprenditoria, solo negli ultimi sette anni, abbiamo visto un calo di nuove imprese giovanili del 12% se consideriamo le ditte individuali.
E allora non ci stupirà che quasi due ragazzi su dieci tra i 20 e i 25 anni si astengono e che questo dato sia raddoppiato in soli dieci anni. E questa è la fascia di età, a parte gli ultra-settantenni, che più si astiene. Ecco la chiave di volta: cominciamo da queste amministrative. Agiamo anche su questa fascia di elettori, spesso quella più sfuggente, meno vincolata ad un voto costante nel corso della propria vita, che ha perso i riferimenti tradizionali o familiari del voto. Che ha perso il senso di appartenenza. Noi non abbiamo bisogno di richiamarci a vecchi schemi di appartenenza, ma non possiamo rinunciare di creare un senso di appartenenza ad un enorme gruppo di persone, di ogni età e fascia sociale, che ha in mente il preciso obiettivo di cambiare nel profondo la nostra società e le annose questioni come quella morale o quella del disimpegno e dell’egoismo.
La crisi di prerogative che dicevo si accompagna ad una crisi culturale e di riferimenti profonda. L’estensione delle opportunità immediate, portata soprattutto dal web, non si è accompagnata ad un mutamento significativo né della Politica, né, tantomeno, delle istituzioni. Così si arriva al paradosso che per agire sul mercato basta un click, che ci sia da prenotare un volo per l’altra parte del mondo o che ci sia da acquistare un prodotto informatico a ottomila chilometri di distanza, mentre per rapportarsi con qualsiasi istituzione o servizio pubblico (salvo rare eccezioni) bisogna mettersi in fila per essere liquidati o trattati male. Questo esempio, l’unico per ragioni di spazio, può sembrare piccola cosa, invece è una delle ragioni dello scollamento tra giovani generazioni e sfera pubblica.
Come rispondere, come comportarsi dunque? Questa Conferenza dà molte risposte aperte. Io credo che un punto su cui insistere fortemente sia quello dell’istruzione pubblica. Lo diceva un filosofo, Rousseau, nel Settecento che “l’istruzione è l’affare di Stato più importante”. Quando lo scriveva, era qualcosa di Rivoluzionario, in un tempo in cui gli affari di stato più importanti erano le guerre o le regge. Il fatto che anche oggi dirlo sia “Rivoluzionario” dovrebbe far pensare.
Per tornare a noi, il forum scuola del PD a Siena, con Simonetta Pellegrini, ha cercato di scandagliare la nostra realtà alla ricerca di eccellenze. E abbiamo capito che, dove c’è volontà e coraggio, ci sono anche le eccellenze. Premiamo l’acceleratore in questa direzione. Non abbiamo paura di dire che noi del Partito Democratico siamo quelli che difendono la scuola pubblica, si la scuola Pubblica, ossia quella che sta anche dove ai privati non conviene: in un piccolo paese isolato o nella periferia di Napoli. Noi difendiamo la scuola pubblica e con essa il ruolo fondamentale degli insegnanti, uno dei ruoli chiave di una società democratica, e la centralità degli studenti.
E assieme alla scuola, l’Università. Quando ne abbiamo parlato, con altri ragazzi, tra cui devo ringraziare Giovanni Avena e Rodolfo Montagnani, impegnati direttamente nel cda e nel Senato del nostro Ateneo, ci è venuta subito un’idea: una crisi è anche una opportunità. Bisogna far sì che la crisi dell’Ateneo senese non ci porti ai processi pubblici o al passarsi le responsabilità, non ci porti ad una sterile chiacchierata su quanti membri (e magari chi devono essere) per il Cda, non ci porti magari all’approfittarsi della crisi per blindare ancora di più il sistema universitario, già troppo incrostato. Vi dico solo che ad oggi, in Italia, solo un Professore Ordinario all’Università su mille sta sotto i trentacinque anni, mentre sono cresciuti negli ultimi venti anni dell’11% i Docenti ultrasessantacinquenni e del 13% quelli tra i 55 e i 65 anni. Non è un discorso giovanilista, assolutamente: il rinnovamento non si risolve con l’età anagrafica. Il rinnovamento si risolve con nuove idee, nuove facce, nuove strategie.
Il nostro compito sull’Università, e trovate un contributo in cartellina, è quello di dare una linea di ampio respiro, di stimolare la discussione, di approfondire, di disegnare l’Università del futuro. Però, come partito di centrosinistra, non possiamo prescindere dalla difesa convinta della democrazia interna e della possibilità di tutti coloro che vivono quotidianamente l’Università o la sostengono come territorio di dare il loro contributo all’Ateneo in tutti gli organi maggiori. Questo per democrazia, e ci chiamiamo democratici non a caso. Questo per trasparenza, quello che diciamo sempre. Questo per la volontà di scommettere sui giovani non con quote o garanzie, ma rendendoli liberi di agire e mettendoli così alla prova. Questo, infine, anche per un quadro normativo nazionale che obbliga tutti gli Atenei a prevedere la rappresentanza, ad esempio, degli studenti nei luoghi in cui si decide a livello di Ateneo.
La nostra Università può uscire dalla crisi rafforzata. L’Università deve essere più accessibile e allo stesso tempo più capace di selezionare i meriti e i talenti. Non serve a niente un’Università che premia indiscriminatamente tutti, serve una Università che fa mettere in gioco gli studenti in un quadro di didattica di alto livello. Li mette in gioco con i loro colleghi europei. Li mette in condizioni di avere un collegamento solido tra mondo della formazione universitaria, della ricerca e del lavoro. La crescita individuale significa crescita della società solo se la società (e quindi privati, Politica e istituzioni) è in grado di fornire le opportunità di applicazione per le persone che forma. Il PD a Siena negli ultimi mesi si è interrogato fortemente su questi temi e questo mi fa molto piacere perché se ne sentiva il bisogno. Purtroppo il tempo non mi permette di sviluppare questo ragionamento e vado a chiudere.
Al nostro Partito spetta una sfida molto difficile nei prossimi mesi. Io credo che l’impostazione che stiamo dando alla Campagna Elettorale e al nostro Partito sia giusta. Parlare di temi. Costruire, come ho cercato di dire, un racconto compiuto della società. Non una serie di proposte fini a sé stesse, ma una serie di proposte collegate in un disegno più grande per i nostri territori e per i cittadini, che si trovano spiazzati dalla crisi. Questo racconto compiuto parte da qui. Parte da una serie di proposte e riflessioni per lavorare su una nuova società. Una società diversa in cui la sfera pubblica dei cittadini sia sempre più solida e non abdichi semplicemente al privato, nella disillusione più assoluta, o nella paura. Non possiamo permettere che le nostre terre vedano cittadini che vivono di giorno come attorniati da nemici e competitori ovunque, e che la notte, magari, dormono con la testata del letto accanto ad un muro oltre il quale dorme un’altra famiglia di cui nemmeno si conosce il nome. Partendo anche da qui, dalla storia di vita di ciascuno, possiamo continuare e magari insegnare ad essere un’alternativa vera e solida nella società.
Questa Conferenza Programmatica è un momento importantissimo per il nostro partito. Il PD trova le sue maggiori difficoltà quando non riesce a dare una prospettiva chiara sui temi, sulle idee. La giornata di oggi e quello che significa, ossia un lavoro di mesi sui temi, serve a dare al PD senese la propria dimensione. C’è stato infatti un lavoro lungo e serio sulle tematiche con un confronto attento ai territori.
Un Partito come il nostro non deve essere capace solo di ascoltare o di interpretare i sondaggi, un Partito come il nostro ha bisogno di proporre alternative concrete e coraggiose ai cittadini. E quindi sottoporsi al loro giudizio. Noi non dobbiamo avere paura di confrontarci anche seriamente e duramente sui temi. Dividersi si, ma sulle questioni e non secondo logiche vecchie o nazionali.
Il PD a Siena ha la statura e soprattutto gli uomini e le donne per rappresentare una vera e concreta alternativa culturale. Un’alternativa che non significa solo buon Governo, ma anche una capacità di incidere con scelte lungimiranti sul tessuto sociale. Nelle idee di questa conferenza e del candidato Bezzini c’è questa carica. A cosa serve un Partito se vive solo di consenso contingente? Un Partito serve quando crea una prospettiva seria, di lungo respiro e che sa anche far sognare. Soprattutto in un periodo di crisi come l’attuale.
Partiamo quindi da qui per dare un’identità definita al PD senese e per creare un programma condiviso e maggioritario per le prossime amministrative.
Abbiamo bisogno di dare risposte a una crisi che tocca tutti trasversalmente e in modo totalmente nuovo. In particolare, le giovani generazioni si ritrovano prostrate dalla crisi. Una crisi che mangia il lavoro, il potere d’acquisto, persino, con la determinante complicità di un Governo irresponsabile, il sacrosanto diritto ad un’istruzione pubblica di qualità. Solo un solido patto intergenerazionale e politiche coraggiose possono invertire la tendenza.
La crisi sta colpendo duramente il lavoro dipendente precario. Chi si affaccia al mondo del lavoro in questi anni duemila sa che ad aspettarlo ci sarà una costellazione di contratti con sigle singolari che in sostanza significa: precarietà. Una precarietà che, finché il lavoro c’è, rappresenta un’ingiustizia e un problema, ma che, quando il lavoro viene a mancare, significa disoccupazione. E la precarietà usa e getta così concepita significa precarietà di vita: impossibilità di accesso alla casa, impossibilità di costruire una famiglia… In una parola, uno schiacciamento del futuro su un eterno presente.
La destra propone una soluzione che sottovalutiamo e che invece è fortemente coerente e affonda le proprie radici in un retroterra culturale solido. Ci dice: “vivi questo eterno presente e aspetta l’occasione giusta; basta essere normali ed avere la propria occasione” e così via con reality, lotterie e consumi. Noi abbiamo il dovere morale, oltreché politico, di raccontare una storia diversa. Abbiamo il dovere morale di non appiattirci sull’agenda della destra. Abbiamo il dovere morale di costruire un racconto compiuto di una società diversa per i ragazzi e le ragazze del nostro Paese e del nostro territorio. Questa conferenza programmatica serve anche a questo.
Il nostro messaggio deve essere di fiducia. Dobbiamo parlare di fiducia nella società. Dobbiamo dire che il lavoro è un diritto, non solo un dovere. Che il lavoro non significa mezzo per il sostentamento, ma il lavoro è la massima espressione delle proprie capacità al servizio di sé stessi e della società. Dobbiamo avere il coraggio di dare valore al sacrificio dello studio e della formazione perché sappiamo proporre un sistema in cui i meriti vengono valorizzati e non mortificati. Avere il coraggio, ad esempio, di dire ad un ragazzo che viene dal sud Italia e passa sei o sette anni a studiare Medicina a Siena che, quando affronterà un concorso, conterà solo il merito. E non si vedrà passare avanti il figlio di un docente con le risposte al test in tasca. Solo così possiamo vincere veramente. Vincere nella società e non nonostante questa.
Le giovani generazioni in Italia sono poche numericamente e hanno visto un crollo delle loro prerogative all’interno della società in quasi tutti i settori. Dobbiamo invertire la tendenza. L’età media in Parlamento è cresciuta, nella storia della Repubblica, da 46 anni di media ai 52. E questa è solo la punta dell’iceberg, perché la Politica è lo specchio della società. In Italia si diventa avvocati a 30 anni, in Spagna a 26. Nell’imprenditoria, solo negli ultimi sette anni, abbiamo visto un calo di nuove imprese giovanili del 12% se consideriamo le ditte individuali.
E allora non ci stupirà che quasi due ragazzi su dieci tra i 20 e i 25 anni si astengono e che questo dato sia raddoppiato in soli dieci anni. E questa è la fascia di età, a parte gli ultra-settantenni, che più si astiene. Ecco la chiave di volta: cominciamo da queste amministrative. Agiamo anche su questa fascia di elettori, spesso quella più sfuggente, meno vincolata ad un voto costante nel corso della propria vita, che ha perso i riferimenti tradizionali o familiari del voto. Che ha perso il senso di appartenenza. Noi non abbiamo bisogno di richiamarci a vecchi schemi di appartenenza, ma non possiamo rinunciare di creare un senso di appartenenza ad un enorme gruppo di persone, di ogni età e fascia sociale, che ha in mente il preciso obiettivo di cambiare nel profondo la nostra società e le annose questioni come quella morale o quella del disimpegno e dell’egoismo.
La crisi di prerogative che dicevo si accompagna ad una crisi culturale e di riferimenti profonda. L’estensione delle opportunità immediate, portata soprattutto dal web, non si è accompagnata ad un mutamento significativo né della Politica, né, tantomeno, delle istituzioni. Così si arriva al paradosso che per agire sul mercato basta un click, che ci sia da prenotare un volo per l’altra parte del mondo o che ci sia da acquistare un prodotto informatico a ottomila chilometri di distanza, mentre per rapportarsi con qualsiasi istituzione o servizio pubblico (salvo rare eccezioni) bisogna mettersi in fila per essere liquidati o trattati male. Questo esempio, l’unico per ragioni di spazio, può sembrare piccola cosa, invece è una delle ragioni dello scollamento tra giovani generazioni e sfera pubblica.
Come rispondere, come comportarsi dunque? Questa Conferenza dà molte risposte aperte. Io credo che un punto su cui insistere fortemente sia quello dell’istruzione pubblica. Lo diceva un filosofo, Rousseau, nel Settecento che “l’istruzione è l’affare di Stato più importante”. Quando lo scriveva, era qualcosa di Rivoluzionario, in un tempo in cui gli affari di stato più importanti erano le guerre o le regge. Il fatto che anche oggi dirlo sia “Rivoluzionario” dovrebbe far pensare.
Per tornare a noi, il forum scuola del PD a Siena, con Simonetta Pellegrini, ha cercato di scandagliare la nostra realtà alla ricerca di eccellenze. E abbiamo capito che, dove c’è volontà e coraggio, ci sono anche le eccellenze. Premiamo l’acceleratore in questa direzione. Non abbiamo paura di dire che noi del Partito Democratico siamo quelli che difendono la scuola pubblica, si la scuola Pubblica, ossia quella che sta anche dove ai privati non conviene: in un piccolo paese isolato o nella periferia di Napoli. Noi difendiamo la scuola pubblica e con essa il ruolo fondamentale degli insegnanti, uno dei ruoli chiave di una società democratica, e la centralità degli studenti.
E assieme alla scuola, l’Università. Quando ne abbiamo parlato, con altri ragazzi, tra cui devo ringraziare Giovanni Avena e Rodolfo Montagnani, impegnati direttamente nel cda e nel Senato del nostro Ateneo, ci è venuta subito un’idea: una crisi è anche una opportunità. Bisogna far sì che la crisi dell’Ateneo senese non ci porti ai processi pubblici o al passarsi le responsabilità, non ci porti ad una sterile chiacchierata su quanti membri (e magari chi devono essere) per il Cda, non ci porti magari all’approfittarsi della crisi per blindare ancora di più il sistema universitario, già troppo incrostato. Vi dico solo che ad oggi, in Italia, solo un Professore Ordinario all’Università su mille sta sotto i trentacinque anni, mentre sono cresciuti negli ultimi venti anni dell’11% i Docenti ultrasessantacinquenni e del 13% quelli tra i 55 e i 65 anni. Non è un discorso giovanilista, assolutamente: il rinnovamento non si risolve con l’età anagrafica. Il rinnovamento si risolve con nuove idee, nuove facce, nuove strategie.
Il nostro compito sull’Università, e trovate un contributo in cartellina, è quello di dare una linea di ampio respiro, di stimolare la discussione, di approfondire, di disegnare l’Università del futuro. Però, come partito di centrosinistra, non possiamo prescindere dalla difesa convinta della democrazia interna e della possibilità di tutti coloro che vivono quotidianamente l’Università o la sostengono come territorio di dare il loro contributo all’Ateneo in tutti gli organi maggiori. Questo per democrazia, e ci chiamiamo democratici non a caso. Questo per trasparenza, quello che diciamo sempre. Questo per la volontà di scommettere sui giovani non con quote o garanzie, ma rendendoli liberi di agire e mettendoli così alla prova. Questo, infine, anche per un quadro normativo nazionale che obbliga tutti gli Atenei a prevedere la rappresentanza, ad esempio, degli studenti nei luoghi in cui si decide a livello di Ateneo.
La nostra Università può uscire dalla crisi rafforzata. L’Università deve essere più accessibile e allo stesso tempo più capace di selezionare i meriti e i talenti. Non serve a niente un’Università che premia indiscriminatamente tutti, serve una Università che fa mettere in gioco gli studenti in un quadro di didattica di alto livello. Li mette in gioco con i loro colleghi europei. Li mette in condizioni di avere un collegamento solido tra mondo della formazione universitaria, della ricerca e del lavoro. La crescita individuale significa crescita della società solo se la società (e quindi privati, Politica e istituzioni) è in grado di fornire le opportunità di applicazione per le persone che forma. Il PD a Siena negli ultimi mesi si è interrogato fortemente su questi temi e questo mi fa molto piacere perché se ne sentiva il bisogno. Purtroppo il tempo non mi permette di sviluppare questo ragionamento e vado a chiudere.
Al nostro Partito spetta una sfida molto difficile nei prossimi mesi. Io credo che l’impostazione che stiamo dando alla Campagna Elettorale e al nostro Partito sia giusta. Parlare di temi. Costruire, come ho cercato di dire, un racconto compiuto della società. Non una serie di proposte fini a sé stesse, ma una serie di proposte collegate in un disegno più grande per i nostri territori e per i cittadini, che si trovano spiazzati dalla crisi. Questo racconto compiuto parte da qui. Parte da una serie di proposte e riflessioni per lavorare su una nuova società. Una società diversa in cui la sfera pubblica dei cittadini sia sempre più solida e non abdichi semplicemente al privato, nella disillusione più assoluta, o nella paura. Non possiamo permettere che le nostre terre vedano cittadini che vivono di giorno come attorniati da nemici e competitori ovunque, e che la notte, magari, dormono con la testata del letto accanto ad un muro oltre il quale dorme un’altra famiglia di cui nemmeno si conosce il nome. Partendo anche da qui, dalla storia di vita di ciascuno, possiamo continuare e magari insegnare ad essere un’alternativa vera e solida nella società.