Mi ero promesso di leggere "Un borghese piccolo piccolo" dopo l'incontro con Vincenzo Cerami a Poggibonsi, durante la scorsa campagna elettorale. Ho iniziato e mi sono reso conto fin dalle prime pagine di avere tra le mani un piccolo capolavoro.
Giovanni e Mario sono padre e figlio. Simboli e allo stesso tempo personaggi fisici, unici. Si tratteggia, pagina dopo pagina, un'Italia corporativista e chiusa, vista dagli occhi di un impiegato del Ministero. Un'Italia dove contano gli ossequi, la deferenza, il saper stare al proprio posto.
Il nostro borghese piccolo piccolo ha servito per anni lo stato, in silenzio. Senza pretendere. Ha mandato per anni persone in pensione, ne ha esaminato documenti e referenze. E tra poco gli toccherà archiviare anche la propria di pensione.
Ma c'è una speranza: il figlio Mario. E solo per questo, per la virtuale realizzazione di sé, Giovanni si muove, non sta più al suo posto... Il figlio deve progredire, deve avere successo: "farai strada, quant'è vero Iddio... Un giovane in gamba per davvero pensa solo al suo avvenire, nient'altro che a quello e lascia che gli altri si impicchino".
Vincenzo Cerami è geniale ad introdurre gli elementi di rottura della storia: la Massoneria, la morte tragica del figlio e quella della moglie, la vendetta del borghese piccolo piccolo... La cronaca nera entra prepotentemente nella storia di vita di Giovanni e questo viene descritto con un linguaggio asciutto, diretto, immediato, cinematografico.
Cerami non si abbandona a facili moralismi, a tirare le somme, a giudicare... Giovanni e quello che questi rappresenta si squadernano davanti a noi e ci fanno provare rabbia, pena, compassione, rassegnazione. E alla fine, quando Giovanni guarda quel caffé che d'ora in poi berrà tante volte, Cerami ci fa guardare dentro noi stessi: con ansia ci rivoltiamo come un calzino fin dentro l'animo, col terrore di trovare dentro di noi quel borghese piccolo piccolo.
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