Spesso, deprecando gli usi e costumi della commerciale italica televisione, si sottolinea l'inadeguatezza del tal personaggio, il cattivo gusto di tal altro, o la vergogna per quella trasmissione che rovina la "mente" della popolazione (vedi alcuni post precedenti in questo blog). Ma raramente ci soffermiamo su un altro aspetto, altrettanto importante: le trasmissioni che stanno in televisione ci stanno perché son viste. Si, sembra incredibile: anche la peggior trasmissione che possiate immaginare, se è in televisione, ha una certa quota di audience. Certo, i dati sono spesso falsati o guidati, ma il succo non cambia. Così, dalla facilità di tanta anti-politica che critica il prodotto e non il produttore (il politico e non l'elettore), si diffonde un certo senso di impotenza intellettualistica o di nobile sdegno. Credo invece si debba scendere nel cuore della faccenda con quel coraggio da palombari di inizio novecento che spesso rimanevano senz'aria per vedere quel pesce che vive in una comune in fondo al mar... Ma non divaghiamo. Il cuore della questione-televisione è in due facce collegate: da una parte una società che vuol vedere rappresentata non se stessa, ma quello che la stessa società spera (vuole) essere. Di qui, la televisione si discosta dalla realtà in modo silenzioso, quasi a non farsene accorgere. E la società, che pensa di plasmare la televisione, se ne trova plasmata. Quindi, tanto per par condicio, guardiamo le due facce della medaglia. Sempre.
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