domenica 29 aprile 2007

Partito Democratico, capitolo III: "Democratico vuol dire progressista, riformista e di sinistra

"Oggi democratico vuol dire essere progressista, riformista e di sinistra"
Piero Fassino

Ipse dixit. E noi ci vogliamo credere. Anzi. Ci crediamo. Ma pensiamo un momento a cosa significhino questi tre termini che, insieme, andrebbero a definire il termine "democratico", ossia l'aggettivo che probabilmente starà accanto al nome degli iscritti al nuovo partito.
Progressista significa molto, ma certo non tutto. Significa la fiducia nel progresso, ovvero è il contrario di "conservatore" o, peggio, "reazionario". Quindi, tale termine si inserisce pienamente nella tradizione legata al valore dato alla ragione che sospinge i grandi movimenti riformatori dal settecento in poi. Progressista indica una persona che non solo crede che le cose possano cambiare, ma crede anche che le cose possano cambiare in meglio rispetto al presente (viceversa sarebbe "regressista"). Significa essere convinti che si può andare avanti migliorando. Abbandonato da tempo il "mito" del progresso (un'ascesa costante e deterministica), la nuova concezione di progresso passa da due elementi cruciali: sapere che il progresso o meno della società dipende dagli uomini che la compongono (e non da altro) e che tale progresso deve essere omnicomprensivo e comunitario. Infatti, il "progressista" non crede nel progresso individuale o di una certa classe sociale e nemmeno di una certa parte del mondo, ma crede nel progresso tout court. Un progresso che nasce dall'individuo quotidianamente per risalire, quasi per osmosi, la piramide dei raggruppamenti sociali e civili.
Riformista significa essere convinti nella necessità di riformare con costanza ed attenzione la società. Questo termine rischia di essere molto vago (quindi inutile) se preso nella sua accezione piena e astorica: riformista è chi fa le riforme. Quindi può essere riformista un regime totalitario o anche una monarchia assoluta. Il termine "riformista" calato nella nostra realtà odierna va a definire un campo ben più ristretto del termine stesso. Riformista è colui che crede fermamente che le cose residuali o trapassate vadano cambiate. Solitamente tali cose rappresentano aspetti del passato che o non esistono più o non sono più rilevanti. La volontà riformatrice quindi può investire due tipologie, grossomodo, di aspetti sociali: riforma di aspetti residuali o riforma di aspetti non appropriatamente trattati. La prima categoria, ad esempio, è quella delle liberalizzazioni condotta dall'attuale governo (per fare un esempio terra-terra): si va a riformare un corporativismo che oggi non ha più ragion d'essere e non fa altro che danneggiare il cittadino o il consumatore di turno. Quindi il riformista va a stanare tutti quegli aspetti legislativi che regolamentano una società che è diversa. Questo può riguardare non solo le riforme sbagliate del passato (conflitto di interessi, scuola, legge 30), ma può riguardare anche riforme che nel loro tempo sono state eccezionali e innovative. Un esempio a tal proposito sono le pensioni: le pensioni vanno riformate non perché sia errato in sé l'attuale sistema delle pensioni, ma perché ad oggi, se non si fanno riforme, un giovane non avrà la pensione. Quindi, si è riformisti per solidarietà intergenerazionale. L'esempio limite del riformista è quello riguardante la Costituzione. Il riformista (nella nostra accezione) non propone emendamenti o modifiche alla Costituzione perché ritiene che tale carta sia errata, anzi ne rispetta il valore e si impegna per la sua applicazione, ma propone modifiche per adattare (soprattutto per aspetti tecnici) la Costituzione ai mutamenti della società. Certo, rimane il fatto che anche il riformista deve preoccuparsi prima di applicare la Costituzione, poi di emendarla... Ma questo è un altro discorso.
Sinistra. Di sinistra... Ecco la terza e irrinunciabile condizione per determinare la parola "democratico". "Sinistra" è nato come termine per indicare quei deputati che sedevano a sinistra nella sala dell'Assemblea Nazionale di Parigi durante e dopo la Rivoluzione Francese. A destra erano seduti anti-rivoluzionari e monarchici, a sinistra chi voleva la rivoluzione (con mille sfumature). Col tempo, a causa dello slittamento delle posizioni (e del saltare di diverse teste), a sinistra stavano quelli "di sinistra" e a destra quelli di "destra" un po' come intendiamo oggi noi i due termini. Ecco, "di sinistra" è il termine imprescindibile per costruire questo nuovo partito, ma come gli altri due, avrebbe bisogno di precisazioni attente ed oculate. Walter Veltroni, nel suo intervento al congresso nazionale dei DS, ha dato un'interpretazione interessante a questo termine. Io credo che essere di sinistra preveda due aspetti importanti: il cuore e la ragione. Serve il cuore, perché essere di sinistra significa impegnarsi per il prossimo senza riserve, significa stare in un partito non per convenienze personali, significa accettare le decisioni della maggioranza (fintanto non vadano in collisione con la propria coscienza profonda), significa parlare e lottare contro la fame del mondo anche il giorno in cui siamo scocciati perché ci hanno battuto l'auto al parcheggio, significa essere pazienti ed ascoltare gli altri anche quando non si ha voglia, significa votare una parte di se stessi senza programmi o calcoli... Serve la mente, soprattutto la mente, perché il cuore non basta. Serve la mente perché il sentimento da solo porta poco lontano e sospinge facilmente verso l'individualismo romantico. Serve la mente perché bisogna saper fare delle scelte a lungo termine. Serve la mente per calmare i propri impulsi naturali. Serve la mente perché bisogna studiare, leggere, seguire. Serve il cuore e la mente perché politica è sacrificio. E moralità. Essere di sinistra è essere morali, perché altrimenti si può essere anche di destra o di centro. Essere di sinistra è essere attenti al prossimo, anche se non è di sinistra. Essere di sinistra è essere determinati anche quando tutti ti dicono che non hai ragione perché preferiscono le soluzioni più semplici. Essere di sinistra è fare le scelte. Essere di sinistra è essere partigiani, è parteggiare, è ricordare, è guardare avanti, è costruire. Essere di sinistra è non essere felici se un altro è infelice. Essere di sinistra è essere volontari senza sperare in nessun paradiso, senza alcuna contrattualistica previsione. Essere di sinistra è lottare per i diritti di tutti e la libertà di tutti. Essere di sinistra è altre mille cose. Essere di sinistra non è necessariamente essere socialisti, come vent'anni fa non era necessariamente essere comunisti. Martin Luther King non era socialista, ma era di sinistra. Gandhi non era comunista, ma era di sinistra.
Non volevo dare una risposta esauriente a questi temi così cruciali. Ma questa impostazione mi sembra una buona base per definire le cose concrete, al di là dei discorsi vacui. Il discorso è tutto di getto, quindi probabili sono omissioni ed errori... Ma è solo un contributo.

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