domenica 27 marzo 2011

Montemaggio: per non dimenticare

Oggi una bellissima e sentita celebrazione dell'anniversario dell'eccidio di Montemaggio. Sono intervenuti con partecipazione il Sindaco di Colle di val d'Elsa Paolo Brogioni e il Presidente della Provincia di Siena Simone Bezzini. Ha concluso l'orazione di Enrico Rossi: un discorso vibrante e forte, che è riuscito a cogliere quel nesso profondo tra chi più di sessanta anni fa, proprio in quel luogo, ha perso la vita, e la necessità anche oggi di prendere parte, impegnarsi, avere il coraggio di sognare e di cambiare le cose. Enrico Rossi ha preso ad esempio i provvedimenti della Regione Toscana tesi a garantire assistenza medica, vitto ed alloggio a chi si trova nella nostra regione, citando l'articolo 2 della nostra Costituzione.

A chi non era presente, vi consiglio di leggere l'intervento di oggi che vi ripropongo qui sotto (fonte: regione Toscana):


"Signori Sindaci, Ex partigiani e combattenti, Associazioni Antifasciste, Autorità presenti, Signore e Signori, voglio portarvi il saluto di tutta la Toscana e ringraziarvi per l’invito a celebrare con voi il 67° anniversario dell’eccidio di Montemaggio.


Questa ricorrenza è l’occasione per ricordare il senso di avvenimenti che hanno segnato il nostro Novecento; un dovere di attenzione e riflessione che non è celebrativa, ma politica e morale. Ed è giusto farlo perché lì stanno le radici della Repubblica democratica, della Costituzione e della libertà, del nostro vivere civile".


Il nome di Montemaggio evoca uno dei fatti più spietati della ferocia fascista ed una delle pagine della ribellione giovanile antifascista in provincia di Siena. Il 28 Marzo 1944, a Montemaggio, furono uccisi 19 giovani partigiani. Due furono uccisi nelle prime ore di quel 28 Marzo 1944 a “Casa Giubileo”, la colonica dove avevano trovato rifugio i componenti del distaccamento partigiano che aveva tentato uno scambio per liberare alcuni prigionieri politici detenuti nelle carceri di Siena. La colonica fu assalita da militi della Guardia Nazionale Repubblicana durante il rastrellamento ordinato dal Commissario del fascio di Siena.


Dopo l’attacco e la resa dei partigiani di fronte alla forza preponderante degli assalitori, quello stesso 28 Marzo del ’44, tutti i prigionieri furono uccisi dai fascisti. Qui caddero 17 giovani partigiani. Solo Vittorio Meoni, pur colpito e ferito, riuscì a sottrarsi all’esecuzione.


Tutti noi siamo consapevoli di quanto la memoria sia una questione politica di prima grandezza ed abbia implicazioni a tutti i livelli nella vita sociale. Il nostro tempo avverte la difficoltà del ricordo. Siamo nella fase di passaggio: quando la memoria “vivente” dei sopravvissuti – ormai sempre più circoscritta – per non essere dispersa, deve trasformarsi in memoria “culturale”. Una memoria “esterna” che si poggia su molteplici sostegni: luoghi, archivi, musei, libri, filmati, ma anch’essa portatrice di senso in quanto costruisce l’identità collettiva, sociale.


Lo scorso gennaio sono stato ad Auschwitz con il Treno della Memoria insieme ad un migliaio tra studenti ed insegnanti delle scuole superiori della Toscana. Ebbene visitare questi luoghi che sono “memoria vivente” di quel terribile passato rende palpabile la profondità dell’offesa alla vita che si è consumata in quegli anni nel cuore dell’Europa, dove fu messo in atto un progetto politico criminale.


I partigiani si sono battuti contro una dittatura dagli esiti distruttivi e feroci, contro le deportazioni, contro la riduzione dell’uomo a strumento di lavoro forzato, contro il sistema dello sterminio. Hanno combattuto per il riscatto dei valori cancellati dal fascismo e dal nazismo, per riconquistare al Paese l’onore perduto.


Voglio dirlo chiaro: una cosa è combattere per la libertà e la democrazia , altra cosa è combattere per difendere la dittatura fascista! Le due cose non potranno mai essere messe sullo stesso piano! E questa differenza, credetemi, diventa palpabile e percepibile da tutti, anche dai più giovani, visitando i luoghi dell’orrore come lo sono stati i campi di concentramento!


Signori Sindaci, anche la Val d’Elsa ha conosciuto questa “Resistenza civile” a sostegno delle azioni partigiane nella lotta contro il fascismo. Basti pensare alle reti di solidarietà attiva di donne e di uomini che, a prezzo di gravissimi rischi, contribuì a salvare migliaia di ebrei, oppositori, ricercati dal regime.


Pensiamo alla deportazione degli operai e dei lavoratori del nostro Paese, quelli che scioperando in condizioni drammatiche nel marzo 1944 chiesero la liberazione dei prigionieri politici e la fine della guerra. La repressione contro di loro fu spietata; migliaia furono arrestati ed inviati nei campi di sterminio. Molti di loro furono consegnati ai tedeschi dai fascisti di Salò.


Dobbiamo ricordare anche il contributo dei militari nella Resistenza e nella Liberazione, per ricostruire l’ampiezza che l’opposizione al fascismo ebbe in Toscana e nel resto d’Italia. Pensiamo al gran numero e di soldati di ufficiali che all’indomani dell’8 Settembre 1943 aderirono singolarmente o a gruppi alla Resistenza. Mi riferisco a quella che è stata definita la ”Resistenza senz’armi”, compiuta dagli oltre 650.000 militari italiani, i cosiddetti IMI, internati militari italiani, catturati dopo l’8 Settembre 1943 e deportati nel territorio del Terzo Reich.


Sappiamo che la stragrande maggioranza di loro si rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e di combattere a fianco dei nazisti preferendo rimanere nei campi di prigionia, costretti al lavoro forzato, e che molti di loro trovarono la morte per le privazioni e vessazioni subite.


C’è poi la vicenda, per alcuni versi meno conosciuta ma non secondaria dei tanti giovani toscani ed italiani che tra l’estate 1944 e l’Aprile 1945, provenendo dalle regioni ormai liberate ed avendo molte volte alle spalle un’esperienza partigiana si arruolarono nel ricostituito Esercito italiano e contribuirono alla formazione dei cosiddetti “Gruppi di Combattimento”.


Il nazifascismo fu sconfitto sul campo grazie all’azione congiunta degli eserciti Alleati e di tutte le forze impegnate nella Resistenza e nella guerra di Liberazione. Il prezzo pagato fu altissimo: migliaia di morti e di feriti tra civili e militari, molte città e paesi distrutti. Oltre alle stragi di civili inermi in località dai nomi tristemente noti.


Le formazioni partigiane, i “Gruppi di Combattimento” e quanti, civili e militari, nei modi più diversi, parteciparono alla Resistenza ed alla Liberazione, consegnarono al futuro un Paese in piedi, in grado di far valere a livello internazionale le proprie scelte di democrazia. A ciascuno di questi protagonisti, tra cui ricordiamo oggi i 17 giovani uccisi a Montemaggio, va il nostro debito di riconoscenza che gli anni trascorsi possono solo accrescere.


La Toscana ha pagato un prezzo molto alto per la conquista della democrazia e della libertà; 4.461 le vittime degli eccidi nazifascisti, 658 i condannati dal tribunale speciale, un decimo di tutti i danni di guerra, centinaia di deportati.


Signori Sindaci, il 1° Gennaio 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, si introducono nel nostro ordinamento i fondamentali diritti di libertà ed i diritti sociali, configurando un vero e proprio “programma” per il futuro del Paese, una sintesi avanzata delle aspirazioni delle forze democratiche che avevano partecipato alla sconfitta del fascismo ed ai lavori dell’Assemblea Costituente.


Le parole con cui la nostra Costituzione, all’articolo 2, proclama che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” testimoniano la volontà dei costituenti di porre un fortissimo scudo giuridico in grado di dare sostanza e concretezza alle parole dell’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, secondo cui “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”.


L’articolo 2 della nostra Costituzione, in sintesi, garantisce il diritto di ciascun individuo ad ottenere dallo Stato il riconoscimento e la difesa delle proprie libertà, che sono inviolabili. E’ una conquista decisiva ed irreversibile, che vuol mettere la parola “fine” agli orrori che molti Stati del Novecento hanno sperimentato sulle persone in carne ed ossa.


A tutti gli smemorati ricordiamo che il XX secolo, il “secolo infelice”, come lo ha definito l’ungherese Imre Kertész, deportato ad Auschwitz e Premio Nobel per la Letteratura nel 2002, è stato anche un laboratorio di sterminio e di devastazione dei diritti e che la fuoriuscita dal disastro è costata enormemente in distruzioni e lutti.


Dobbiamo esserne consapevoli, anche nei momenti in cui le cose sembrano andare male e ci sarebbe spazio per il pessimismo. La nostra Costituzione ci offre sempre la possibilità di riprendere il cammino da una posizione avanzata.


Di questo abbiamo avuto prove sovrabbondanti nel corso degli anni. Non tutti gli Stati, infatti, hanno una Costituzione che imponga a loro stessi il rispetto dei diritti inviolabili della persona. Ecco perché dobbiamo tenerci cara la nostra e respingere i tentativi di modificarne la sostanza e la natura.


Ma la Resistenza continua, anche oggi, in difesa e per l’attuazione di questa nostra Costituzione. Viviamo infatti un tempo di cambiamenti profondi che avvengono ad una velocità straordinaria in tutto il mondo. Dobbiamo saper interpretare il senso e la direzione di queste novità, per dotarci degli strumenti adeguati per proseguire il cammino iniziato dalla Resistenza e dalla Costituzione, senza perdere di vista gli obiettivi ed i valori in cui crediamo e che continueremo a perseguire. Lo dobbiamo soprattutto alle giovani generazioni, che non hanno l’esperienza diretta del lungo e difficile cammino che fin qui è stato fatto.


Ci troviamo dentro ad un processo di globalizzazione che ha posto agli Stati domande nuove ma, allo stesso tempo ha ridotto la loro capacità di intervento e di risposta. La crisi finanziaria internazionale, che è iniziata nell’estate del 2007 e che si è trasformata in crisi economica con un’accelerazione straordinaria, ci dice che siamo ad una svolta in questo processo e che abbiamo davanti molti pericoli ed opportunità.


Siccome quella protezionistica rappresenta una non-soluzione ed è impensabile il tentativo di arginare la spinta poderosa delle forze produttive che tende a unificare il genere umano, la vera sfida è negli strumenti di governo del processo di globalizzazione, che si facciano carico delle grandi questioni da cui dipende il destino dei popoli e dell’ambiente, intimamente connessi.


Anche il tema dei diritti e della democrazia è tirato in ballo da questa crisi, perché sappiamo bene che è proprio nelle fasi di turbolenza che i diritti possono essere additati come il problema e non come la soluzione. Dobbiamo consolidare le conquiste democratiche e porre su basi solide lo sviluppo, perché è un fatto che dietro all’economia ed ai suoi meccanismi ci sono le persone ed i loro bisogni. E’ un banco di prova dove tutti siamo chiamati a tirar fuori il meglio. Soprattutto per evitare che si dimostrino realistiche le parole di Hannah Arendt sul fatto “le tendenze politiche, sociali ed economiche congiurano segretamente per maneggiare gli uomini come cose superflue”. Sono parole che ci devono far pensare e che non dobbiamo mai mettere da parte.


E’ questo impegno, anche qui ed oggi, l’omaggio più vero ai giovani martiri di Montemaggio, alla Resistenza ed alla Costituzione della Repubblica, a pochi giorni dalla celebrazione del nostro Risorgimento e dei 150 anni di Unità d’Italia"



Enrico Rossi.

mercoledì 16 marzo 2011

Odio gli indifferenti...

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Antonio Gramsci
11 febbraio 1917